mercoledì 11 febbraio 2009
80 ANNI FA IL CONCORDATO
L'11 febbraio 1929 Benito Mussolini chiudeva, per il momento, quel contenzioso Stato-Chiesa che ci trascinavamo da oltre mezzo secolo. I Patti laternanensi vennero siglati con un Pontefice avversario, quel Pio XI che oltralpe aveva recentemente scomunicato l'Action Française, cattolicissima e apostolicissima, per compiacere quella massonica Repubblica orientata a sinistra che stava moderando la sua politica riguardo gli averi vaticani. Il Papa delle encicliche antitedesche, quello dell'opposizione antifascista a tutto campo, non aveva esitato a scarificare sull'altare dell'opportunismo i suoi fedeli francesi così come solo qualche mese dopo gli accordi con l'Italia si sarebbe lavato disinvoltamente le mani del sangue dei Cristeros in Messico. Fu con quest'uomo, Capo di Stato molto più che Sacerdote, che venne siglato il Concordato. Nel solco di un precedente napoleonico, con la chiara visione dantesca di separazione delle funzioni, in una conciliazione d'intenti e di civiltà. Né più né meno di quanto ottant'anni prima aveva cercato di fare la Repubblica Romana. L'intento era chiaro: sottrarre la nostra nazione e il nostro popolo a quella volgare opposizione tra fazioni dogmatiche e intolleranti cui abbiamo tornato ad assistere ai giorni nostri e che particolarmente ha ammorbato l'aria durante la tragedia di Eluana. Se Pio XI aveva ben altre mire, Mussolini cercò invece una vera e propria conciliazione che desse “a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Il che appare esplicito dalla decisione presa sui matrimoni: lo Stato considerava validi quelli compiuti in Chiesa, mentre la Chiesa, ovviamente (il contrario sarebbe assurdo) non lo faceva per quelli celebrati in Comune. Di fatto ciò attestava la superiorità civile e amministrativa delle Istituzioni rispetto alla Chiesa cui veniva riconosciuta l'autorità religiosa. Come immediato effetto dei Patti, il Duce proibì l'ostentazione sul territorio italiano delle bandiere bianche e gialle di uno “Stato straniero” e, per ribadire sia la sua profonda convinzione filosofica che l'autonomia politica dello Stato, sei giorni dopo, il 17, nell'anniversario del suo sacrificio al rogo, intese commemorare Giordano Bruno. Dall'11 febbraio in poi iniziò così una lunga parita a scacchi o se vogliamo un duello di fioretto tra il Vaticano, che accusava il fascismo d'indottrinare i giovani e di fornire loro una sua mistica, e lo stesso fascismo che proseguiva la sua via di virilità. Il conflitto fu di poteri, di filosofia e di mistica ma non divenne mai una polarizzazione (che sarebbe stata opposta alla vocazione fascista) tanto che la saldatura tra cattolicesimo e fascismo avvenne spessissimo senza che con ciò fosse minimamente penalizzata qualunque componente non cattolica, anticlericale e perfino pagana interna al movimento e al partito. Mussolini seppe unire anche per l'occasione il pragmatismo ad un vero e proprio intendimento tradizionale. E' per questo che tutte le interpretazioni, favorevoli o contrarie, date al Concordato sia da parte dei neoguelfi che dei mangiapreti sono completamente inesatte. Il Concordato a livello di base popolare, riuscì e non fu troppo frainteso. Certamente poiché gli obiettivi reali dello Stato e del Vaticano erano assolutamente divergenti tra loro, a livello di alto clero la fronda fu più o meno continuativa. D'altronde Mussolini cercava di rendere miracolosamente alla Chiesa quel ruolo dignitoso e valido cui proprio il Vaticano l'aveva sottratta durante il Sacro Romano Impero e provò a farla convivere con un'idea di nazione cui essa è ontologicamente estranea. Farlo poi in Italia dove il potere della Chiesa è, storicamente, avverso e proporzionalmente inverso a quello dello Stato era davvero un'opera difficilissima. Ma il Duce amava le imprese ardue e poteva provarci, visto che era riuscito perfino a far sì che ci facessimo rispettare ovunque.
Etichette:
fascismo,
ricorrenze
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento